C'è stato un periodo in cui con
Carlo Chericoni le abbiamo veramente provate tutte per sfondare.
E a volte penso che è stato veramente per un soffio che la nostra (o quanto meno la mia) vita non è stata baciata dal successo (parlo di fama ovviamente: le soddissfazioni sono un'altra cosa).
Merito suo.
Nel bene e nel male.
Nonostante tutti i difetti che gli ho attribuito negli anni (e in cui credo in parte si riconosca), è stato sempre chiaro chi di noi due avesse una visione
commerciale più chiara.
Sia come sia, grazie a lui approdammo alla Smile Production di
Carlo Pedersoli.
Sotto la
supervisione di tale
Cristian Zauli (me lo ricordo ancora!) cominciammo a sviluppare le basi per un videogioco basato sulle imprese del
sempreverde Bud Spencer.
L'idea era quella di unire l'abilità di modellatore 3D di
Roberto Campus (allora recente scoperta di Carlo) per i fondali con la mia predisposizione
cartoonesca e tirare fuori qualcosa sulla falsariga di quello che sarebbe stato anni dopo
Monkey Island 3 (avevi ragione, Carlo: siamo nati in anticipo!).
Giuro che ci ho sputato sangue su questo progetto.
Ci tenevo veramente a fare qualcosa con la Smile.
Bud Spencer è un mito per tutti quelli della mia generazione.
Il progetto, almeno all'inizio, doveva chiamarsi "Agenzia Bud".
Avrebbe narrato le vicende dell'investigatore Bud Spencer (ruolo che all'epoca rivestiva spesso nei suoi telefilm ambiantati negli USA) affiancato dalla segretaria Lisa (che nelle mie iniziali intenzioni doveva esere un personaggio anni '60, un po' come la
Daphne Blake di
Scooby Doo) e dalla tipica
sidekick, un teenager ispanico di nome Paco.
L'idea fu accolta abbastanza bene, inizialmente.
Poi cominciò, lento ed inesorabile, il bagno di sangue.
Il vero problema (secondo me) era che mentre noi avevamo abbastanza chiara la direzione che volevamo far prendere al progetto (caratterizzazione cartoon anche in vista di probabile merchandising e/o serie televisiva, storie avventurose in puro stile Piedone lo Sbirro, etc.) alla Smile entrarono nel pallone.
E fammelo più giovane. No, troppo giovane. Alza quel naso. No, troppo lungo. Mettigli una giacca. No. troppo elegante. Fallo più cartoon. No, troppo ridicolo. Realistico sì, ma non troppo.
E così via.
Il tutto si ripeteva (ovviamente) per ogni personaggio.
I risultati furono a dir poco devastanti.
Si passava dal surreale "professore universitario" giovane, aitante e possente, al simpatico
gigante buono (un po' bolso) ma all'occorrenza picchiatore.
Quello che era cominciato come una cosa che avrei voluto fare ad ogni costo, stava diventando un incubo da cui cercare di uscire cercando di farsi male il meno possibile.
E giuro, ci ho provato:
compromesso divenne il mio secondo nome.
Alla fine credo che qualcosa di valido venne pure fuori.
Ma che fatica!
Poi, improvvisamente (probabilmente su richiesta diretta di Pedersoli Junior e Senior), si decise lo stile avrebbe dovuto essere realistico al massimo, e che le trame avrebbero dovuto ricalcare quelle della serie TV americana che stava per partire (
Noi siamo angeli).
Fu la fine del sogno, almeno per me.
Con queste
linee guida, il massimo che riuscii a tirar fuori furono delle mere scopiazzature dalle foto di scena.
Magari anche somiglianti.
Ma eravamo partiti per fare un videogioco, o un fumetto, o un cartone, e ci ritrovavamo a lavorare su una sorta di fotoromanzo interattivo!
Personalmente, questi furono i modelli che diedero più soddisfazione:
Chiaramente furono subito
cassati.
Pazienza.
In tutto questo, c'è da aggiungere che il continuo delegare tutta la parte di rapporti coi "clienti" a Carlo, cominciava a starmi stretta.
Volevo essere più presente nelle fasi in cui si presentava l'idea a qualcuno.
Volevo cominciare ad avere peso in decisioni che potevano cambiare il mio futuro.
Non che Carlo me lo avesse mai impedito.
Ma neppure me lo ha mai proposto.
Come è noto, due galli in un pollaio stanno stretti, e prima o poi si "beccano".
Noi per fortuna o per scelta non ci beccammo.
Semplicemente prendemmo strade diverse.
E forse fu un bene per entrambi.
Fine.
Ah.
Dimenticavo.
Il gioco poi si fece.
Credo che uscì in edicola.
L'animazione, alla fine, fu affidata oltre che a Roberto Campus, ad una signora giapponese nota nel campo dell'animazione a Roma.
Il personaggio da quel che ricordo era molto, forse troppo, simile alla mia versione realistica.
Praticamente venne aggiunto solo il saio da frate come sul film.
Mah.PS
Per Carlo:
E' ovvio che in quanto pubblicato su un blog personale, quanto sopra resta una visione assolutamente soggettiva e parziale dei fatti.
Quindi, se leggi il post, sentiti libero di correggere, contraddire o
ampliare la storia.